Attualmente in Italia si sta parlando molto di censura e strumentalizzazione dell’informazione.
Non è estraneo a queste argomentazioni neanche il mondo stesso del giornalismo che ormai del suo originario significato ha salvato ben poco.
Iniziando con i milioni di comunicati stampa da ogni dove, che rendono le testate un vero e proprio spazio pubblicitario e di marketing (oltre a divenire asettiche e politicizzanti). Ironico appare poi il tentativo automatico da parte del direttore o della giunta comunale di etichettare politicamente un giornalista che tenta di fare il suo lavoro nel modo più oggettivo possibile. Negli articoli, alcune parole o frasi più delicate vengono fatte rimuovere perché ‘non si sa mai’. Già così è difficile contattare qualcuno (es. i permessi delle aziende sanitarie regionali per intervistare qualcuno o i vari intermediari prima di raggiungere il politico di turno): se osi dire qualcosa che non sia in linea con il tuo intervistatore non ti contatta più; se osi dire qualcosa che non sia in linea con il tuo direttore non scrivi più; se osi dire troppo, beh, non fai più e basta.
I tirocini vengono spesso retribuiti al minimo. Il problema di trovare dei fondi, soprattutto per le testate piccole, è certamente reale. Ma quando un giornalista scrive dai quattro ai sette articoli al giorno, non comunicati stampa, e si ritrova con 300 euro al mese, anche dopo la fine del tirocinio, allora qualcosa non va. Quando svariati giornalisti e pubblicisti arrivano ad andare in esaurimento nervoso dopo essere stati trattati come degli stracci, ci si rende conto che non è un mondo salutare.
Allora molti decidono di optare per il lavoro autonomo, il cosiddetto ‘freelancer’.
Le testate più ampie non leggono neppure le mail e bisogna chiamarle una ventina di volte per una proposta d’ articolo. Solo 1 su 5 risponde. Spesso chi risponde comunica che ha una redazione chiusa. Un gran peccato perché sarebbe importante garantire un’apertura almeno in caso di articoli di particolare interesse.
Così non resta che contattare le testate locali, che troppo spesso fanno lavorare senza contratto, e alle quali bisogna chiedere di ricordarsi di pubblicare l’articolo. Ricordarsi di pubblicare un articolo. “E un giorno, il redattore decide autonomamente di non farti lavorare più. Scrivendoti che non c’è più bisogno della collaborazione? No, bloccandoti su whatsapp. Bloccandoti su whatsapp.”
"Sono senza parole e cerco di capire dove ho sbagliato.
Allora contatto un’altra redazione dove inizio una collaborazione in prova. Anche qui viene fuori il problema economico. Gli articoli vengono pubblicati dopo molte settimane. Questa volta, invece di andare in paranoia e farmi mille sensi di colpa, decido di affrontare la situazione di petto e chiedere spiegazioni.
Mi vengono fatte le loro scuse, ammettendo che ‘si sono dimenticati’ dei miei articoli e mi dicono di scrivere loro ogni tanto per ricordare di pubblicarli.
Va bene. Lo faccio.
Poi, però, gli articoli non vengono proprio più pubblicati. Riscrivo. Non mi rispondono. Ma come? Mi avevate detto che gli articoli erano buoni! Dove ho sbagliato?
Mi ritrovo a sentirmi in una situazione che mi ricorda tanto i piccoli abusi tossici, così sottili che ti fanno venire il dubbio di essere tu il problema. Forse ho scritto troppo? Forse troppo poco?
Senza lamentele o piagnistei.
Stavolta no.
Non è mia la colpa."
Questo tipo di situazioni sono ben note nell’ambiente. Il silenzio che le circonda, però, non è né etico né professionale. Chi continua a scrivere, nonostante tutto, lo fa perché crede veramente nel potere dell’informazione democratica e nella possibilità di creare riflessione nei lettori. Pagare 10 euro un articolo, non considerare professione da tutelare il reporter di guerra, non rispettare e non considerare allo stesso livello il lavoratore autonomo non sono cose accettabili.
Chiediamo quindi, all’Odg e all’Assostampa, effettiva tutela per i freelancer, maggior controllo nelle redazioni e la possibilità di venire incontro a chi di questo lavoro non riesce a vivere. E siamo in molti.
Chiediamo per questo la possibilità di poter pagare INPGI e ODG in proporzione al reddito o all’ISEE conseguita.
Essere tenuti a dover pagare entrambi più di 300 euro all’anno per un guadagno netto alle volte pari a 100 (!) annuali non è ammissibile. Ci sono giornalisti e pubblicisti validi che si sono tolti dall’Ordine per ragioni sopra citate.
Si chiede, in conclusione, considerazione e rispetto di diritti, e doveri, che dovrebbero essere fondanti in questa professione che dovrebbe far prevalere onestà, trasparenza e qualità rispetto alla quantità e all’elitarietà.
(Maggio 2024 - Da: giornalistifreelance)
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