Proseguiamo nella pubblicazione di testimonianze e riflessioni sulle condizioni dei giornalisti lavoratori autonomi, lanciata col titolo "Essere precari stanca".
L'iniziativa ha preso spunto dal questionario sul "giornalismo precario", lanciato dal Coordinamento precari e freelance e dalla Commissione lavoro autonomo dell'Assostampa Friuli Venezia Giulia, in seguito al quale abbiamo ricevuto dei commenti, riflessioni e proposte, che ci è parso utile riprendere e divulgare.
I contributi vengono qui pubblicati in forma anonima per tutelare la privacy, con l'auspicio di stimolare una riflessione collettiva e delle iniziative comuni.
Ci potete inviare i vostri contributi a: precari.freelance@assostampafvg.it
La riflessione di oggi è dedicata al problema dei giornalisti pensionati in redazione. O comunque a quei colleghi che, anche dopo il pensionamento, continuano a lavorare nel consueto circuito produttivo redazionale, sottraendo così occasioni e posti di lavoro a colleghi più giovani. Quasi sempre collaboratori esterni, precari e sottopagati...
PENSIONATI IN REDAZIONE
La pensione, in media, è il momento più atteso della vita di ogni lavoratore. Dopo anni di onorato servizio finalmente ci si può dedicare alle passioni sopite, quelle che negli anni sono rimaste nel cassetto a causa dei troppi impegni di lavoro, o alla famiglia o ai viaggi o al volontariato o, ancora, per i più fortunati, all’accudimento dei nipoti: niente di più bello e naturale. Ma per una buona parte di giornalisti sembra non funzionare così. Dopo lunghi anni di redazione - con un contratto giornalistico a tempo indeterminato, uno stipendio niente male, con la prospettiva di una vita da pensionato tutt’altro che economicamente limitata e con soddisfazioni professionali ampiamente vissute - l’ultimo giorno di lavoro, in cui tradizionalmente si festeggia il traguardo raggiunto brindando con i colleghi, diventa il giorno dell’uscita dalle porte dorate della redazione… utile a sancire il rientro nella medesima redazione, giusto il giorno dopo, da una finestra (mica tanto secondaria), altrettanto dorata (se non economicamente, senz’altro in termini di “posizione”) per continuare a fare ciò che si faceva prima.
Intanto, fuori da quelle porte e da quelle finestre dorate c’è una generazione intera - anzi, forse due o tre – di giornalisti giovani o non più giovanissimi che, per poter accedere alla professione o poter continuare a restare nella professione mantenendo un livello di vita almeno dignitoso, si arrabattano con piccole collaborazioni, quasi mai contrattualizzate (o comunque con contratti “atipici”), con compensi da fame e assolutamente non adeguati al lavoro svolto, con compensi che pagano solo le battute del risultato finale e non tengono conto delle ore di lavoro (perché, le ore di lavoro di un redattore contano forse più di quelle di un collaboratore?), con contribuzioni da versare che non garantiranno mai una pensione e con un essere “freelance” che fa più rima con “precario e sfruttato” che con “che figo”.
Eppure la rete, sì, Internet, quella che a tutti piace frequentare, offre spazi sconfinati per aprire blog personali, per creare canali YouTube, per aprire profili social e poter sfogare liberamente il proprio desiderio di continuare a scrivere, ad intervistare, a comunicare, ad argomentare. Tutte cose possibili, accessibili, fruibili da tutti e, oltretutto, gratuite. Ma una certa parte dei giornalisti pensionati preferisce continuare ad occupare quei posti che, si spera vivamente su retribuzione adeguata, potrebbero invece essere lasciati ai più giovani, a coloro che hanno bisogno di farsi le ossa e di crescere professionalmente. E che non hanno uno stipendio sicuro sul quale poter contare per sé e per la propria famiglia.
Non si può dimenticare, d’altra parte, il grande valore, in termini di patrimonio di esperienza e professionalità, di cui tanti (non tutti) giornalisti della “vecchia scuola” sono custodi e portatori. Un patrimonio che i più giovani non possono nemmeno immaginare, frutto di anni di gavetta, di “scarpe consumate”, di “giri di nera” e di inchieste fatte sul campo. Un patrimonio che i giovani farebbero bene a riconoscere e a rispettare: un pizzico di umiltà all’inizio del cammino nella professione non guasterebbe a nessuno (in realtà, nemmeno a professione inoltrata). Un patrimonio che non va assolutamente cestinato, ma forse andrebbe gestito in modalità diverse, ancora tutte da inventare.
Sorgono, quindi, delle domande. Ci si chiede il perché dell’incapacità di alcuni colleghi senior a riconoscere che si è dato e si è ricevuto a sufficienza e che si può cedere il posto ad altri. Ci si chiede perché, di fronte alle richieste degli editori, non si è capaci di dire: “No, grazie. Io mi faccio da parte. Sarebbe più opportuno dare spazio ai colleghi più giovani”. Ma ci si chiede anche il perché – e la cosa, se possibile, risulta ancora più grave – i giornali, gli editori, si ostinano a chiedere ai giornalisti pensionati di continuare a seguire rubriche o servizi, sia cartacei sia online, nell’ordinario ciclo produttivo del giornale occupando spazi che potrebbero essere affidati ad altri colleghi, altrettanto bravi e capaci. Si potrebbe pensare, per esempio, ad interventi una tantum quando la stretta attualità necessita di voci autorevoli e di penne “navigate”. Ma, appunto, una tantum.
A volte viene da pensare che nel nostro Paese sia cresciuta una generazione di giornalisti contrattualizzati, ora pensionati, un po’ “ingordi” e, forse, “mai sazi”. Viene da dire che sarebbe ora di vedere come questo meccanismo – sommato alla crisi profondissima dell’editoria in generale – si stia trasformando, neanche troppo lentamente, in una vera e propria piaga sociale. Perché non valorizzare altrimenti i colleghi più anziani e trovare formule per affiancarli ai giovani più promettenti in modo da favorire un “passaggio di consegne” generazionale? Perché non pensare a delle forme di volontariato, per chi già gode di una pensione, prevedendo di offrire la propria competenza alle realtà del Terzo Settore, per esempio, che tanto hanno bisogno di raccontarsi adeguatamente per farsi conoscere ed rendersi visibili ai cittadini?
Il lavoro deve essere di tutti e per tutti, non solo per alcuni. E la pensione, che per tantissimi non arriverà mai, potrebbe anche essere tempo di riposo, di gratitudine per quanto fatto, di generosa e gratuita trasmissione del patrimonio culturale e di urgente coltivazione del dialogo intergenerazionale che tanto può offrire a tutti. C’è bisogno di prendere consapevolezza di tutto questo e capire che le scelte di ciascun collega hanno conseguenze su tutti gli altri. E soprattutto sui colleghi più deboli e meno tutelati. Riusciremo mai a venirne a capo? La speranza è sempre l’ultima a morire. Ma a volte, certi meccanismi, la costringono, per lo meno, in terapia intensiva.
(Testo della riflessione ricevuta, pubblicata in forma anonima)
IL QUESTIONARIO SUI GIORNALISTI AUTONOMI
E' ancora possibile rispondere al questionario anonimo sui giornalistici autonomi (o precari, sottoccupati, disoccupati) nel Friuli Venezia Giulia.
>> QUI LA PRESENTAZIONE E IL QUESTIONARIO <<
E' da spedire entro il 14 marzo a precari.freelance@assostampafvg.it o, in forma totalmente anonima, per posta o tramite il servizio di anonymizer on line www.filemail.com Mandaci il tuo contributo, grazie!
Nessun commento:
Posta un commento