19 novembre 2021

ESSERE PRECARI STANCA: e dopo 21 anni si rinuncia al lavoro di giornalista (testimonianza)

Sotto il titolo "Essere precari stanca" pubblichiamo delle testimonianze sulle condizioni del lavoro giornalistico autonomo e precario.

Diverse sono state raccolte tramite il “Questionario sui giornalisti non dipendenti nel Friuli Venezia Giulia", lanciato nel 2020-2021 dal Coordinamento precari e freelance e dalla Commissione lavoro autonomo dell'Assostampa FVG.

Questa volta rilanciamo invece una testimonianza, pubblicata su Facebook, del collega toscano Samuele Bartolini. Che, dopo 21 anni di attività, ha deciso di abbandonare la professione giornalistica e di cercarsi un altro lavoro. Anche di operaio. Perchè "un lavoro vero deve essere prima di tutto un lavoro dignitoso. Qualunque esso sia...." Perchè il lavoro di giornalista collaboratore e precario si era fatto insostenibile, per poter vivere e mantenere famiglia e figli...


UN'AMARA TESTIMONIANZA

E' come quando ero piccino. Quando da ragazzi eravamo alla partita del Castelluccio e passavamo il tempo a lanciarci giù dal “grottone” macchiando i calzoni di verde. 

Anche ora sto rotolando giù. Ma a differenza di quando ero ragazzo, ora non mi diverto. Al contrario. Sto male. Di più. Sto malissimo. E non vedo il fondo. 

Dopo otto anni di onorato servizio e lenta ma costante crescita professionale, mi sono dimesso dal Tirreno. Sono andato via io. Non sentivo più niente di interessante da scrivere. Soprattutto aveva perso di senso, piano piano, il mio lavoro: rincorrere il politico di turno per la polemica del giorno, prendere il tipo del giorno e fargli l'intervista, persino le manifestazioni della Gkn mi davano fastidio. 

Qual è stato il problema? All'inizio sono stati i compensi del nuovo editore: Sae. Poi parlo della considerazione per quanto fatto negli anni scorsi da parte di chi mi avrebbe dovuto valorizzare e non l'ha fatto. Non potevo continuare a scrivere e vedere a fine mese un'entrata pari a poco più di uno stagista. 

Il crollo ha fatto capolino dal gennaio 2021: il conguaglio ha bruciato gran parte delle mie già poche entrate. Poi è arrivato il nuovo contratto ad aprile di Sae: fatto al ribasso quando mi avevano assicurato che non avrebbero cambiato nulla. 

Poi è arrivato il crollo vero e proprio mio personale. Ho sentito montare mese dopo mese come una rassegnazione. Ho cominciato a provare un senso di depressione che cresceva e cresceva. Ogni servizio era diventato come un masso da spostare dallo stomaco ogni giorno. Non avevo più interesse. Non avevo più entusiasmo. Mi sentivo sfruttato. 

L'estate l'ho passata in affanno e sparendo letteralmente ad agosto. A settembre ho riprovato a scrivere per il giornale ma, visto lo stipendio di ottobre, mi sono reso conto che il conto corrente sarebbe comunque continuato a calare. 

Oggi però non sono più il ragazzo che si lanciava dal grottone insieme agli amici di paese. Sono padre di famiglia, vado per i 47 anni, mia moglie si spacca in quattro per la famiglia e io, tra depressione e sempre meno soldi in banca per la famiglia, fatico pure a guardare in faccia i miei figli. 

Un lavoro vero deve essere prima di tutto un lavoro dignitoso. Qualunque esso sia. E avere la mostrina del giornalista sulla giacchetta era diventata solo un peso. Così mi sono dimesso dal Tirreno. 

Sto abbandonando i miei sogni? Non lo so. Di certo ho fatto mille esplorazioni per un nuovo lavoro in questi mesi. 

Ho fatto domanda pure alle Poste per un lavoro temporaneo. Mi hanno preso. Vado a fare l'addetto smistamento a Sesto Fiorentino. Farò l'operaio. Farò le notti. Non so quanto durerà. 

Ho una laurea con lode. Sono ventun'anni che ho la tessera da giornalista in tasca. Non la perderò. Ma farò l'operaio. Perlomeno per un po' lo stipendio sarà dignitoso. E poi chissà. 

Di certo, dopo aver dato il sangue per anni a questo giornale, mai avrei pensato che il post-Covid mi avrebbe portato a fare tali scelte.

(Dalla pagina Facebook di Samuele Bartolini, 3/11/2021, su autorizzazione)


Al post su FB sono seguite 284 reazioni, like e 178 commenti di solidarietà a Samuele. 
Tra i tanti ci pare opportuno rilanciarne di seguito almeno uno: quello di un ex collega di Samuele, pensionato dello stesso giornale, ed ex sindacalista. Un commento da meditare. E da cui ripartire, per non restare sempre fermi allo stesso punto...


Carissimo Samuele, 

la tua amarezza mi riempie di sgomento e di delusione. Sgomento per lo svilimento della nostra professione, anche in quello che fu il mio giornale. Purtroppo non ci sono più occhi per guardare e orecchi per sentire. Chi pone le giuste rivendicazioni è visto solo come un problema. 

Fino a quando il mercato dell'editoria tirava, i compensi ridicoli dei collaboratori del Tirreno erano mitigati dalla prospettiva di un'assunzione. 
Poi, con moto accelerato, tutto è finito: gli editori mandano a casa la gente, nessuno pensa più ad assumere. I collaboratori, i precari, sono lasciati a se stessi, senza che nessuno pensi a loro come persone, che in quanto tali hanno diritto ad avere un futuro. Tutti ciechi, tutti sordi. Chi è garantito pensa a mantenere le proprie garanzie, chi non è garantito si arrangia. 

E' una devastazione, che il tuo post descrive in maniera magistrale. Ma sento anche la delusione per aver gettato al vento anni di impegno sindacale. Quelli della mia generazione avevano l'abitudine di farsi carico dei precari, sfruttati e mal pagati. Se ti è andata così, vuol dire che non abbiamo seminato bene, non siamo riusciti a trasmettere a chi è venuto dopo di noi le stesse vedute d'insieme. Si è interrotto bruscamente un percorso di decenni, in cui l'interesse collettivo era garantito dal bene dei singoli. 

Oggi un cinismo che sfiora la spregiudicatezza ha ridotto in polvere l'attenzione verso il precariato.

Ma oltre allo sgomento e alla delusione, il tuo post mi suscita anche una rabbia profonda. Rabbia perché mentre il mondo dell'informazione va in frantumi, i posti di lavoro svaniscono e le prospettive si azzerano, pensano solo a scannarsi in nome delle poltrone. 

Io sono venuto via per nausea e costrizione. Se ciò fosse servito per darti una prospettiva - a te come ad altri -, avrei fatto qualcosa che valeva la pena di ricordare. Invece no, tutto è stato inutile. 

Hai fatto bene a smettere, la dignità non ha prezzo. Sei ancora in tempo per fare tante cose belle nella tua vita e cambiare percorso. Ma ti assicuro: il tuo post l'ho sentito come un pugno nello stomaco. 

Buon percorso, Samuele, d'ora in poi riceverai più di quanto ti sia stato dato nel mio ex giornale. Mi dispiace tanto. 

Scusa la lunghezza, un abbraccio.


(Puoi inviarci anche la tua testimonianza o riflessione a: precari.freelance@assostampafvg.it 
Quelle selezionate potranno essere pubblicate anche in forma anonima)


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