Continua a far discutere il caso del collega toscano
Samuele Bartolini
Dopo 21 anni di giornalismo precario e sottopagato, rinuncia:
“Farò l’operaio e lo stipendio sarà finalmente dignitoso”
Continua a far discutere il caso del collega toscano Samuele Bartolini. Che, dopo 21 anni di giornalismo precario e sottopagato, non ne può più ed abbandona il giornalismo per cercarsi un altro lavoro per campare e mantenere la famiglia. Qualsiasi lavoro (anche se è laureato a pieni voti e con molti anni di attività alle spalle): “Farò l’operaio e lo stipendio sarà finalmente dignitoso”.
Lo ha reso noto in novembre, con un post molto amaro, sulla sua pagina Facebook. E pochi giorni dopo (“in cerca di un futuro migliore”) ha iniziato a fare i turni di lavoro notturno alle Poste. E sta continuando...
Il suo post su Facebook è stato rilanciato (con l’autorizzazione di Samuele) sui canali social del Coordinamento giornalisti precari e freelance del Friuli Venezia Giulia (v. qui il post), e questo a sua volta dal sito specializzato Professione Reporter (v. qui l'articolo), rendendolo così un “caso” nazionale.
Un caso che ha raccolto rapidamente centinaia di reazioni, like e commenti: di solidarietà, ma anche riflessioni critiche sulla professione giornalistica oggi in Italia.
Abbiamo allora rilanciato una selezione di questi commenti in un nostro nuovo post (v. qui). E i commenti, lungi dall’esaurirsi, hanno continuato a crescere di numero, e nel merito.
Così vi proponiamo di seguito un aggiornamento, fra i tanti commenti registrati. Perché ci pare utile rileggerli a mente fredda. Anche perchè da una parte risulta chiaro che quello di Samuele non è affatto un caso isolato; ma dall’altra troviamo anche qualche riflessione critica sulla sua scelta.
Proponiamo qui di seguito, in forma anonima, alcuni nuovi commenti. Per stimolare delle riflessioni, e delle azioni: per non rassegnarsi. Perchè, come scriveva Albert Camus: “L’abitudine alla disperazione è peggiore della disperazione stessa”.
Altri commenti e riflessioni
sulla testimonianza del collega Samuele Bartolini
C. B. - Stima per quest’uomo, che di certo non si è venduto.
F. B. - La dignità è molto vicina alla serenità nel lavoro. Significa poter avere un mutuo, comprarsi un’auto, non arrancare già a metà mese. Questo mestiere mantiene un’aura che non ha più, e si pensa che sia status e onori anche solo a nominarlo, mentre sotto la superficie non brilla niente, anzi. Molti si accontentano di quel che simboleggia, che dovrebbe ripagarli di una vita di stenti. Dire faccio l’operaio è meno fico che faccio il giornalista anche se poi ti trattano come neppure una sguattera. Trovare così la felicità è un po’ dura, devi fare tutto da solo, immaginarlo, stringere i denti ogni volta, sognare a occhi aperti. Tutte cose bellissime e onorevoli agli inizi. Ma questo è un paese dove sei giovane fino a 40 anni e mai abbastanza umile per accettare un praticantato infinito
A. T. G. - Proprio così. Anche io ho fatto la stessa sua scelta 4 anni fa. Ero esausta. Alla mia età avrei dovuto iniziare a tirare i remi in barca, invece remavo ancora come una forsennata, più di quando ero giovane, facendo tra l'altro la fame. Ora ho un centro che cura la pediculosi e ho grandi soddisfazioni non solo economiche ma anche professionali. Quando i miei clienti mi chiedono che lavoro facessi prima e dico giornalista, mi guardano stranulati e io rispondo sempre "Non è così bello come sembra. Questo invece è un lavoro fico!" 😍
R. R. - È una questione di dignità! Lo dice anche il nostro codice deontologico. Chi non lo capisce farebbe bene a studiare! Siamo in Italia, paese in cui va bene tutto!
P. B. - Benvenuto nel club.
P. G. A. - … ha fatto benissimo.. Ne guadagna in salute e serenità!!
M. A. - Citofonare Fnsi e Odg
G. T. - E l'INL (=Ispettorato Nazionale Lavoro) no?
F. A. - Io vengo da Torino e sono figlio unico di una madre single con pochissimi soldi. Se fossi rimasto a Torino non avrei avuto altra scelta che lavorare sottopagato per piccoli giornali di cronaca e varia umanità che c'erano a Torino senza nessuna possibilità di andare avanti. Nessuna. Infatti non ho mai preso in considerazione nemmeno per un solo secondo questa eventualità.
A 21 anni sono andato a Roma per un anno e ho collaborato a Paese sera. Ho capito che non c'erano chance e mi sono trasferito a Milano incominciando a collaborare e a lavorare tantissimo. Cercavo di trovare spazio proponendo cose che interessassero ai giornali.
Fino a 28 anni ho collaborato con 25 giornali diversi lavorando come un pazzo e contemporaneamente studiando all'università che mi pagavo io perché mia mamma poveretta poteva arrivare fino a un certo punto.
A 28 anni dopo un bel po' di collaborazioni precarie sono stato assunto in Rizzoli. A 30 ho preso la laurea.
A 44 anni quando il mio giornale ("Il Mondo") ha chiuso ho capito che non c'erano sbocchi soddisfacenti per me in Rizzoli e che la carta stampata non mi avrebbe offerto alcun futuro perché sarebbe presto morta. Ho accettato la buonuscita che mi veniva offerta, rinunciato al posto fisso per rimettermi in gioco, e mi sono reinventato con internet e con la radio.
Mi sono creato una specializzazione in robotica automazione e tecnologie del futuro. Con la radio per 3 anni sono riuscito a divertirmi e a imparare moltissimo, ma poi non è stato più possibile andare avanti.
Nel frattempo la testata che ho fondato su internet con specializzazioni sull'industria e le sue tecnologie abilitanti e la robotica e automazione e le tecnologie b2b ha avuto un successo fortissimo, perché ho scelto di coprire bene un ambito non ancora presidiato.
Oggi faccio il direttore di testata e do da vivere stabilmente a 5 colleghi ben pagati.
A 21 anni sono andato a Roma per un anno e ho collaborato a Paese sera. Ho capito che non c'erano chance e mi sono trasferito a Milano incominciando a collaborare e a lavorare tantissimo. Cercavo di trovare spazio proponendo cose che interessassero ai giornali.
Fino a 28 anni ho collaborato con 25 giornali diversi lavorando come un pazzo e contemporaneamente studiando all'università che mi pagavo io perché mia mamma poveretta poteva arrivare fino a un certo punto.
A 28 anni dopo un bel po' di collaborazioni precarie sono stato assunto in Rizzoli. A 30 ho preso la laurea.
A 44 anni quando il mio giornale ("Il Mondo") ha chiuso ho capito che non c'erano sbocchi soddisfacenti per me in Rizzoli e che la carta stampata non mi avrebbe offerto alcun futuro perché sarebbe presto morta. Ho accettato la buonuscita che mi veniva offerta, rinunciato al posto fisso per rimettermi in gioco, e mi sono reinventato con internet e con la radio.
Mi sono creato una specializzazione in robotica automazione e tecnologie del futuro. Con la radio per 3 anni sono riuscito a divertirmi e a imparare moltissimo, ma poi non è stato più possibile andare avanti.
Nel frattempo la testata che ho fondato su internet con specializzazioni sull'industria e le sue tecnologie abilitanti e la robotica e automazione e le tecnologie b2b ha avuto un successo fortissimo, perché ho scelto di coprire bene un ambito non ancora presidiato.
Oggi faccio il direttore di testata e do da vivere stabilmente a 5 colleghi ben pagati.
A. D. - L’amarezza e la rabbia è tutta per chi permette di svilire una professione bella come questa. Vergogna.
D. C. G. - Io è una vita che faccio doppio lavoro, per potermi permettere di mantenere la "passione" del giornalismo, e non è giusto.
M. T. - Personalmente sto cercando di convincere il lavavetri extracomunitario al semaforo vicino casa a prendermi come assistente. Facendo i conti, guadagnerei un 25% in più. 😂
S. M. M. - Mi sto preparando per una professione completamente diversa. Nessun rimpianto. Continuo a collaborare con una testata (ovviamente retribuita da freelance) ma non sarà la mia professione principale.
E. M. - Già fatto, la mia attività giornalistica di svolge al di là dell’orario di lavoro in un impiego altro.
R. B. - Essere precari e sottopagati stanca, uccide, spossa. Io sto facendo di tutto per non perdere la mia (nostra) dignità. Ma non è semplice per nulla...
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precari.freelance@assostampafvg.it
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