di Maurizio Bekar, Maria Giovanna Faiella e Laura Viggiano
(rappresentanti dei giornalisti lavoratori autonomi in Commissione contratto Fnsi)
Solo a ridosso di una possibile firma, si sta finalmente riaprendo un dibattito pubblico sul nuovo contratto di lavoro giornalistico. Ma è contraddistinto da troppi punti interrogativi. E, quali rappresentanti dei giornalisti lavoratori autonomi eletti in Commissione Contratto della Fnsi, non possiamo non esprimere forti preoccupazioni per i rischi che corre la parte più debole, sottopagata, senza tutele, ma allo stesso tempo maggioritaria della categoria: i giornalisti non dipendenti.
- UN CONTRATTO, MA CON EQUITÀ E RISPETTO PER IL LAVORO AUTONOMO
La ricerca di Lsdi del 2013 ha evidenziato che gli autonomi sono oggi il 60% dei giornalisti attivi, il doppio di 13 anni fa. È noto che, in realtà, diversi collaboratori svolgono ruoli da dipendenti, previsti nel contratto Fieg-Fnsi (artt. 1, 2 e 12), ma non sono inquadrati come tali. Il fatto poi che gli autonomi guadagnino in media 10-11.000 euro lordi l’anno (con spese, contributi e rischi a carico) e che la metà di questi abbia un reddito inferiore ai 5.000 euro l’anno, è non solo una condizione lavorativa inaccettabile, ma oramai un elemento deflagrante per la tenuta stessa della professione e del contratto collettivo.
Oggi il contratto dovrebbe garantire quantomeno un trattamento di equità per i giornalisti non subordinati. E non solo perché esistono giuste aspettative alle quali gli editori non danno risposte. Ma perché, senza il riconoscimento a tutti di pari diritti e dignità, si contribuisce a svuotare man mano anche il ruolo del dipendente. Come sta già accadendo. Dunque, perché gli editori non dovrebbero ridurre ulteriormente gli organici delle redazioni ed esternalizzare il più possibile il lavoro, potendolo affidare ad autonomi sottopagati che costano dalle 5 alle 7 volte meno di un dipendente?
Ci sono quindi diritti negati che non possono essere più ignorati o rinviati. Per questo sono necessarie risposte chiare e forti, da includere anche nel nuovo contratto. La soluzione, beninteso, non sta nelle assunzioni a tempo indeterminato per tutti ma in un mercato del lavoro che, accanto a giornalisti dipendenti preveda professionisti - di cui spesso già le aziende si avvalgono - messi in grado di fornire le loro prestazioni professionali con maggiori garanzie economiche e diritti, anche senza la certezza del posto fisso a vita.
- UN PROBLEMA E UN CONTRATTO DI TUTTA LA CATEGORIA
È intuitivo che le spinte degli editori, di corto respiro progettuale, vanno nella direzione opposta. Ma è proprio su questi punti che si gioca la tenuta del lavoro giornalistico, così come l’abbiamo conosciuto finora. Oggi, infatti, non c’è solo la questione del crescente impoverimento dei lavoratori autonomi, ma anche quella degli attuali dipendenti che rischiano nel prossimo futuro di diventare i “nuovi autonomi”. Un contratto davvero inclusivo è quindi interesse di tutta la categoria.
Sappiamo che la sfida è difficile, anche per la drammatica congiuntura economica, ma o sul lavoro autonomo si fanno oggi dei sostanziali passi avanti in termini di diritti, tutele e retribuzioni, o non si farà altro che confermare e legittimare l’esistenza di due diversi mercati del lavoro della professione: da un lato, una cerchia di garantiti e ben pagati, che man mano si riduce, e dall’altro una crescente e maggioritaria area di sottopagati e senza diritti, principale forza lavoro del giornalismo. Che, in condizioni di precarietà, non potrà essere sempre libero, indipendente e di qualità.
- L'EQUO COMPENSO
Uno strumento fondamentale a supporto di quest’obiettivo poteva essere la corretta applicazione della legge sull'equo compenso, con retribuzioni per tutti i non subordinati direttamente correlate a quelle dei dipendenti, così come prescrive la legge 233/2012. Sarebbe stato uno strumento cogente, che avrebbe ridisegnato anche i termini della trattativa sul contratto.
Ma l’equo compenso (peraltro ancora inattuato) è invece uscito sgonfiato dalla Commissione governativa in cui, tra l’altro, gli editori avevano solo 1 voto su 7. Inoltre, manovrando abilmente e facendo capire che se si fosse spinto troppo sull’equo compenso sarebbe saltato il tavolo del contratto, gli editori sono infine riusciti a ottenere una delibera d’indirizzo fumosa, che restringe la platea dei beneficiari della legge ai soli parasubordinati e ai non meglio precisati “economicamente dipendenti” (termine che non trova definizione nella normativa italiana, e neppure nella delibera). E ora gli editori puntano a ricondurre le ipotesi di “equità” a compensi mediamente già praticati da varie testate (dai 15 ai 25 euro lordi), comunque inadeguati per poter lavorare in modo professionale e vivere di questo lavoro.
Intanto però, mutuandole dal tavolo “governativo”, le ipotesi complesse e fumose dell'equo compenso sono state trasferite nella trattativa contrattuale.
- “ACCORDO POSSIBILE”, MA QUALE?
Il 17 aprile, dopo nove mesi dall’ultima riunione, il segretario generale della Fnsi e altri membri della segreteria hanno spiegato alla Commissione contratto che un accordo per gli autonomi «probabilmente è possibile» ma solo per il “lavoro non subordinato economicamente dipendente”, cioè la formula utilizzata nella delibera per l’equo compenso.
In pratica la trattativa punta ad ottenere dei trattamenti minimi garantiti «per i lavoratori autonomi economicamente dipendenti e quindi in buona sostanza per i parasubordinati». Tale impiego verrebbe normato nell’Accordo allegato al contratto sul lavoro autonomo, ma arricchito da alcuni benefit di welfare, come l’iscrizione all’Inpgi 1 (anche se con contributi ridotti e da determinare).
Ma chi sarebbe un «economicamente dipendente»? Dovrebbe essere il collaboratore che scrive almeno 9-10 articoli al mese per un quotidiano nazionale - o 15 per uno locale - e percepisce un reddito da quella stessa testata non inferiore a 3.000 euro lordi annui. Facendo due conti, le retribuzioni a pezzo, come ipotizzato per l’equo compenso, sarebbero circa 15 euro a cartella per un quotidiano locale, e 25 per uno nazionale (lordi e con spese a carico).
Fermo restando che non è chiaro come si possa sapere a priori quanto si guadagnerà in un anno con una testata, per capire se si rientra in queste casistiche, viene da chiedersi quanti autonomi ne sarebbero inclusi e quanti esclusi? Per esempio: che ne sarà di quelli che hanno più rapporti di collaborazione, nessuno dei quali totalizza però 3.000 euro annui?
Anche la quantità di articoli è poi un elemento opinabile, che non tiene in conto l'elemento qualitativo. Ovvero, se uno ha poche collaborazioni annuali con una testata, ma ben retribuite, tanto da superare i 3.000 euro annui, è o no “economicamente dipendente”?
È poi complicato comprendere perché si avalli una simile definizione, inesistente nella normativa giuridica italiana. Oltretutto temiamo che la sopravvalutazione del dato economico a discapito della quantità e qualità del lavoro possa pregiudicare la possibilità di ricorrere a un giudice del lavoro per una causa di assunzione. E ciò anche in virtù di quella che la Cassazione ha definito una “subordinazione affievolita”, per le peculiarità e l'autonomia tipiche del lavoro del giornalista. Il rischio è che, seppure in buonafede, si giunga a un contratto che si riveli poi un condono tombale di diritti altrimenti rivendicabili, e per giunta in assenza di un adeguato controvalore.
- ANACRONISTICA LA RETRIBUZIONE A CARTELLA
Nel controproducente incrocio di trattative equo compenso-contratto («Pur sapendo che l’equo compenso è una cosa e il contratto ne è un’altra, vogliamo tenerli insieme», è stato riferito in Commissione contratto) ci chiediamo anche perché ragionare di «retribuzioni a cartella a scalare». Invece ciò che dovrebbe essere valutato ed equamente retribuito (in coerenza con le retribuzioni dei dipendenti) è il tempo di lavoro impiegato.
Per un servizio multimediale, o fotografico, o di approfondimento, ma a volte pure per una breve, si possono infatti impiegare anche varie ore di lavoro, certo non riconducibili alla cifra minima a cartella. Si costringerebbe allora il collaboratore ad estenuanti trattative economiche su ogni pezzo, e ad improbabili verifiche sull'effettivo rigaggio del pubblicato.
Mentre un accordo sul tempo di lavoro da retribuire (1 giorno, 1 settimana, 1 mese...) dentro il quale ci stia tutto (brevi, notizie, approfondimenti, reportage, foto, multimedia) sarebbe trasparente, di facile applicazione e verificabilità. Ed era proprio questa la proposta della Commissione lavoro autonomo Fnsi per l’equo compenso: retribuire il tempo di lavoro concordato, calcolato in coerenza con le retribuzioni dei dipendenti (soluzione, tra l’altro, prevista nella riforma Fornero per le retribuzioni dei cocopro), maggiorato dei costi di produzione e dei rischi assunti in proprio dal giornalista non dipendente. In alternativa, la stessa proposta (https://docs.google.com/file/d/0B9MDKDFrfuzSejVvRGMtR1VHamM/edit?usp=sharing) suggerisce di fare riferimento ai compensi minimi contenuti nell’ultimo tariffario dell’Ordine dei giornalisti del 2007 (http://www.odg.it/content/tariffario-2007), adeguati all’inflazione. Ma sembra essere stata ignorata, sia per l'equo compenso che nelle trattative per il contratto. Come altre proposte sul contratto, avanzate da più Assostampa regionali.
- ANCORA COCOCO, E NON LAVORO DIPENDENTE…
Inoltre non si parla più di «riscrittura degli art. 2 e 12 del contratto», per «portare dei collaboratori nel lavoro dipendente», come sostenuto più volte. Si ragiona invece solo sulla riscrittura dell’Accordo sui cococo (peraltro già ora non rispettato dalla maggior parte degli editori persino sui tempi di pagamento).
Se poi l’art. 2 del contratto fa riferimento a 2 - 8 collaborazioni (ma anche qui bisognerebbe introdurre il tempo di lavoro), un cococo quante ne dovrebbe fare in più o in meno? E che differenza c’è tra il tempo da dedicare al lavoro di un giornalista assunto e di un cococo?
Non bisogna poi dimenticare che, malgrado l'attuale Accordo sui cococo, questi sono solitamente in posizioni molto ricattabili: con contratti pro forma, talvolta solo verbali, senza possibilità di verifica della retribuzione dei pezzi pubblicati, o con richieste di pezzi gratuiti oltre a quelli pattuiti, o di impegno senza limiti d'orario, di riposo o ferie, o con richieste d'esclusiva.
In queste condizioni da Far West, come può l'orizzonte dei giornalisti lavoratori autonomi essere limitato ai soli cococo? Quanti saranno quelli riconosciuti “economicamente dipendenti”? E quelli (e quanti) non lo saranno, come verranno retribuiti? E, tra i cococo, quanti saranno in realtà i pensionati che continuano a lavorare sotto questa forma?
- “SANATORIA” CON UN COSTO DEL LAVORO PIÙ BASSO
C'è poi l'intento di “sanare” le posizioni dei collaboratori che lavorano di fatto in condizioni di dipendenza. A riguardo, in Commissione contratto è stato riferito che «si sta cercando di far transitare nel contratto i cococo simil-dipendenti che hanno già una soglia di reddito vicina a quella dei praticanti. Gli editori ci chiedono un canale privilegiato con un costo di lavoro più basso... Ci sono poi da valutare le misure da adottare per il reimpiego dei disoccupati».
Il problema, però, è capire cosa significa «costo di lavoro più basso», ed entro quali parametri e prospettive. Un periodo transitorio, con costi a carico dell'Inpgi? Sono garantite assunzioni a tempo indeterminato e a stipendio pieno? E per quante persone, e in quali tempi? Inoltre, tra i parametri di simil-dipendenza potrebbero esserne adottati anche altri, oltre a quello reddituale, come ad esempio la continuità e durata del rapporto, il ricavo di almeno l’80% del reddito del collaboratore, o il lavoro in esclusiva.
- LE NOSTRE RISERVE E PREOCCUPAZIONI
Poiché su tutto quanto fin qui descritto non ci sono ancora noti dati e percorsi certi, lo stato della trattativa contrattuale ci pare molto aleatoria, e ben poco rassicurante per i collaboratori e gli autonomi. Certo, una nostra valutazione tecnica potrebbe essere più precisa e articolata di fronte a una bozza di preaccordo con la Fieg, o di un documento in discussione, o di una piattaforma di richieste e proposte puntuali della Fnsi, di cui però a oggi non disponiamo.
Anche per questi motivi abbiamo sostenuto la mozione votata in Commissione contratto. Nella mozione, riguardo il complesso della trattativa, s’invitava sì la Giunta della Fnsi a continuare a trattare con la Fieg, ma ad evitare fughe in avanti per la firma del contratto, approfondendone preventivamente i temi e le possibili soluzioni in un confronto di merito con la categoria. E, per quanto riguarda il lavoro autonomo, si chiedeva «una regolamentazione inclusiva per la riduzione dell'area del precariato e del finto lavoro parasubordinato, tenendo conto delle indicazioni contenute nel documento elaborato dalla Commissione lavoro autonomo della Fnsi».
Il rischio infatti, allo stato attuale, è quello di firmare un accordo che salvi, forse, la tenuta dei conti dell'Inpgi e i parametri di chi un contratto da dipendente già ce l’ha. Ma che confermi, nella sostanza, che la maggior parte dei giornalisti attivi resterebbe esclusa dalle tutele del contratto collettivo, con retribuzioni che non permettono di vivere dignitosamente del proprio lavoro.
Maurizio Bekar
Maria Giovanna Faiella
Laura Viggiano
(rappresentanti dei giornalisti lavoratori autonomi in Commissione contratto Fnsi)
DOCUMENTI:
ON LINE, IL TESTO DELLA PROPOSTA CLAN-FNSI PER L'EQUO COMPENSO:
DOWNLOAD:
IL TESTO DELLA PROPOSTA CLAN-FNSI, CON I CRITERI D'EQUO COMPENSO:
IL TARIFFARIO DELL'ORDINE DEL 2007
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