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02 luglio 2014

EQUO O INIQUO COMPENSO PER I GIORNALISTI FREELANCE ?


Dieci domande al Sottosegretario all’editoria, on. Luca Lotti
(di Maurizio Bekar, Maria Giovanna Faiella, Laura Viggiano)*






Signor Sottosegretario, On. Lotti,

abbiamo sostenuto con convinzione l’approvazione della legge sull’equo compenso per i giornalisti autonomi, ritenendo che fosse un elemento di civiltà del lavoro, da estendere quanto prima anche agli altri settori. E dare così attuazione al diritto di questi lavoratori all’equa retribuzione, così come stabilisce l’art. 36 della Costituzione.

Siamo quindi rimasti sconcertati per come sia stata data invece attuazione alla legge, in una Commissione da Lei presieduta, tramite due delibere che svuotano di fatto il diritto costituzionale all’equo compenso, violando lo spirito e la lettera della legge 233/2012. E non è solo una questione di tabelle retributive, ma anche di violazioni palesi del testo normativo, che all’articolo 1 prevede che l’equo compenso si debba riconoscere a tutti i “giornalisti non subordinati” iscritti all’Albo. Invece sono state introdotte pesanti restrizioni alla platea cui avrebbe dovuto essere applicato.

Siamo poi rimasti sconcertati pure da alcuni Suoi commenti, collegati anche al decreto per i contributi all'editoria da Lei firmato (La Repubblica, 25 giugno 2014).

Ci sentiamo quindi in dovere di porLe pubblicamente, da giornalisti e da lavoratori autonomi interessati da questi provvedimenti, alcune domande:

1) Nell'intervista Lei afferma che “Equo compenso è una definizione sbagliata. Quella giusta è compenso minimo garantito. Prima gli articoli erano pagati da alcune aziende 5 euro e anche meno. Adesso il minimo è 20”. Ovviamente sono lordi. Il che, al netto, è quasi la metà, con le spese a carico. Lei ha mai scritto professionalmente un articolo? Lo sa quanto tempo di lavoro può esserci dietro 15-20 righe scritte da un collaboratore?

2) La delibera approvata prevede anche cifre come 6,25 euro lordi per una prestazione professionale per agenzie di stampa e web. La legge 233/2012 sull'equo compenso stabilisce che la remunerazione dev'essere “proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto” tenendo conto “della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria”. Quindi: ci può spiegare sulla base di quali criteri e calcoli oggettivi sono state definite quelle tabelle?

3) Crede che l’Unione Europea, tenuto conto dei provvedimenti presi da più organismi sulle questioni della libera informazione, sottopagata, apprezzerà le cifre e il presunto ragionamento in base al quale sono state stabilite?

4) Che le cifre della delibera siano dei minimi è chiaro. Ma gli editori che riconoscono compensi superiori ai “minimi” sono rari. In ogni caso il problema è che parliamo di un minimo ritenuto “equo” ai sensi di legge, inferiore anche a quello di una colf, che in media guadagna 10 euro l'ora. Effettivamente sarebbe sbagliato parlare di equo compenso. Ma allora che differenza c’è tra il minimo retributivo deliberato e l’equo compenso che avrebbe dovuto definire la Commissione istituita dalla legge?

5) La Legge n. 233/2012 afferma che viene emanata “in attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione”, il quale recita “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Secondo lei, è giusto parlare, come fa qualcuno, solo di aspettative negate, alla luce delle decisioni assunte?

6) La legge sull’equo compenso è nata anche per fissare un principio: la soglia di dignità al di sotto della quale è indecoroso ed insostenibile fare questa professione. C'è chi ha calcolato che, secondo gli standard tipici di lavoro di un freelance, con le tariffe approvate, lavorando 48 ore la settimana si verrebbe retribuiti circa 2,6 euro all'ora. Lordi. E con spese a carico. Invece, in Danimarca un freelance viene retribuito mediamente dai 30 ai 40 euro l'ora. E in Brasile 33 euro a cartella (a cartella, non a pezzo...). Non Le sembra che fissare per legge come “equo compenso”  6, 10 o 20 euro a pezzo significa legalizzare la sottoretribuzione? E che questo renderebbe anche più difficile rivendicare un diritto per via legale?

7) Prevedere negli accordi da Lei firmati dei salari d’ingresso a retribuzione ribassata, e “sconti” contributivi estesi anche ai contratti a tempo determinato, non Le sembra una rinuncia a legare gli aiuti agli editori alla creazione di nuova occupazione davvero stabile, e non sottopagata?

8) Sempre in riferimento al decreto sull'editoria, che prevede aiuti per l’assunzione di “giovani”: lo sa che la maggioranza dei giornalisti precari non è più “giovane”, ma ha in media un’età di 40 e più anni, con una professionalità ultraventennale?

9) Il costo aziendale lordo base di un giornalista dipendente con contratto Fieg-Fnsi oggi oscilla dai 38 ai 49 mila euro lordi l’anno. Ci spiega, allora, perché gli editori dovrebbero assumere dei redattori con contratto da dipendente, se potranno invece usare dei collaboratori che, per scrivere alcune centinaia di pezzi l’anno, verrebbero a costare meno di 6 mila?

10) Signor Sottosegretario, non conosciamo esattamente la Sua attuale retribuzione. Ma Lei, dopo anni di sfruttamento, accetterebbe di lavorare ancora con una retribuzione sottopagata rispetto agli inquadramenti contrattuali e, per giunta, a tempo determinato e con l’avallo del Governo? Come si sentirebbe?


 (*) Rappresentanti dei freelance nella Commissione nazionale contratto Fnsi


04 febbraio 2014

EQUO COMPENSO PER TUTTI I NON CONTRATTUALIZZATI

Clan: "Garantire a tutti i giornalisti gli stessi diritti: oramai il 60% dei giornalisti attivi sono formalmente degli autonomi"

Segue il testo della lettera aperta dei freelance della Clan-Fnsi:

- Al Segretario Generale e alla Giunta Esecutiva della Fnsi
- Ai rappresentanti degli Enti di categoria nella Commissione per l'equo compenso: Giovanni Rossi (Fnsi), Enzo Iacopino (Odg), Andrea Camporese (Inpgi)
- Alle Assostampa regionali
- Ai rappresentanze dei giornalisti lavoratori autonomi
- A tutti i colleghi, contrattualizzati e non

Come giornalisti freelance, membri della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi (Clan), attivi nostre realtà regionali e negli Enti di categoria, esprimiamo la nostra viva preoccupazione, e il nostro dissenso, riguardo l'attuale percorso d'attuazione della legge 233/2012 sull'equo compenso per giornalisti non contrattualizzati.
Un percorso che rischia di portare ad uno svuotamento della legge 233, lasciando fuori dalla sua applicazione la maggior parte degli autonomi, e togliendo nel contempo ogni forza ai tentativi di includerli nelle tutele del contratto collettivo di lavoro giornalistico.
La delibera d'indirizzo per l'attuazione della legge, approvata il 29 gennaio dalla Commissione plurilaterale per l'equo compenso, appare infatti in forte contraddizione con la lettera e lo spirito della legge 233, che all'art. 1 prevede esplicitamente che “In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione” l'equo compenso si deve applicare a tutti i giornalisti “titolari di un rapporto di lavoro non subordinato”. Cioè a tutti i non contrattualizzati come dipendenti.
Invece, in virtù di un'interpretazione acrobatica della legge, elaborata dal consulente scelto dal Governo, che l'ha poi fortemente sostenuta, si è giunti a deliberare che l'equo compenso sarebbe applicabile solo ai giornalisti che svolgano "lavoro parasubordinato nonché autonomo economicamente dipendente svolto in modo non sporadico". Una formulazione oscura e vaga, e come tale largamente interpretabile. Che però fa trasparire chiaramente come l'equo compenso non sarebbe applicabile a tutti, ma solo ai cococo e ai non meglio definiti “autonomi economicamente dipendenti”, escludendo tutti gli altri.
Va sottolineato che, nella riunione del 27 gennaio, il Presidente dell'Ordine dei giornalisti aveva correttamente depositato alla Commissione un parere “pro veritate”, formulato da un primario studio legale di Diritto del lavoro. Parere che riportava giuridicamente e con forza l'ambito di applicazione della legge 233 a quanto già chiaramente stabilito nell'art. 1 (cioè l'equo compenso a tutti, con la sola eccezione delle attività non professionali, cioè sporadiche o del tutto occasionali).
E' quindi sconcertante che tale parere “pro veritate” dello Studio legale Pessi e associati non risulti poi acquisito, nemmeno come documentazione e neppure citato, nella delibera finale. Come se non esistesse. Mentre continua ad esservi citato, come suo fondamento, il parere opposto del consulente del Governo, il professor Tiziano Treu, già Ministro del Lavoro.
E' poi sconcertante che nella delibera d'indirizzo si usi il termine “lavoro autonomo economicamente dipendente”, di cui però non viene definito il significato e non vi è riscontro nella legislazione italiana. E che quindi non dovrebbe avere tecnicamente alcuna conseguenza attuativa. Salvo che, tramite successive interpretazioni, non si voglia riferirlo (mutuandolo da terminologie impiegate nel dibattito teorico giuslavoristico) a un rapporto di sostanziale e prolungata monocommittenza con un unico datore di lavoro. Riducendo così drasticamente l'area degli autonomi ai quali si potrebbe applicare la legge.
Ma le ambiguità nel testo d'indirizzo non terminano qui.
Infatti, da una lettura dei paragrafi 2 e 3 a pagina 7 della delibera, si evince che neppure i tanti colleghi oggi formalmente autonomi, che però svolgono incarichi per i quali avrebbero dovuto essere assunti e retribuiti come dipendenti, potrebbero rivendicare l'equo compenso. Il che si risolverebbe in una doppia penalizzazione: non essere stati (e non per propria colpa) assunti, e non avere nemmeno il diritto all'equo compenso.
Viceversa, l'eventuale varo nell'ambito della legge 233 di una finora inesistente figura di lavoratore “economicamente dipendente”, ma nel contempo riconosciuto de jure come “autonomo”, potrebbe offrire una sponda giuridica per rendere più difficili le future cause per assunzione per lavoro dipendente dissimulato da autonomo.
Questi e altri passaggi della delibera ci sconcertano, e non possono non preoccuparci vivamente per le possibili conseguenze.
Ovviamente ci rendiamo conto di quanto l'attuazione della legge 233 sia pesantemente condizionata dalla concomitante trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di categoria, e dalla netta chiusura degli editori verso l'ineludibile urgenza del riconoscimento di sostanziali diritti e tutele collettive per gli autonomi.
Editori che hanno però malauguratamente trovato in Commissione equo compenso delle sponde nell'atteggiamento del Governo. Che finora, per l'attuazione di questa legge, non ha fatto scelte a netta tutela della parte più debole, ricattabile e sottopagata dei lavoratori dell'informazione, ma ha puntato prevalentemente a mediare tra le esigenze contrapposte delle parti, sostenendo a tale fine delle interpretazioni pesantemente restrittive della Legge 233.
Il risultato è che la Commissione, presieduta dal Sottosegretario all'Editoria e informazione Legnini, in seguito a tali orientamenti, ha de facto limitato il campo di applicazione della legge 233. Cosa però che non rientra nei suoi poteri. I compiti della Commissione sono infatti già chiaramente stabiliti nella Legge 233, e sono stabilire il “quantum” e le modalità d'attuazione e controllo dell'equo compenso, e non “se e a chi” questo si possa applicare.
In questo senso le interpretazioni formulate dal professor Treu non possono prevalere sul nulla osta al testo di legge già a suo tempo affermato dalle competenti Commissioni parlamentari, oltre che dalla promulgazione dello stesso da parte del Presidente della Repubblica.
Pertanto il parere “pro veritate” del professor Pessi, meritoriamente formalizzato alla Commissione, da una parte non fa che tentare di riportare dentro la legittimità giuridica le deliberazioni della stessa. E dall'altra, proprio per queste ragioni, non può essere ignorato, per affidarsi invece a un gioco di successive interpretazioni e imponderabili contrattazioni politiche circa la portata e l'applicabilità della legge 233.
Ci rendiamo peraltro conto di come i nostri rappresentanti di categoria si siano trovati messi nell'angolo in Commissione da una maggioranza editori-Governo, e da uno stato d'inattuazione della legge fuori ogni tempo massimo. Dovendo così effettuare delle scelte, anche parziali e difficili. Confidando magari sulla possibilità di successive interpretazioni e contrattazioni più favorevoli.
Ma siamo anche convinti che questo piano inclinato delle “interpretazioni” corre il rischio di divenire man mano più ripido e rovinoso, fino a svuotare di quasi ogni portata la legge 233. E, invece di risolvere dei problemi, di generare un'ampia serie di contenziosi, anche giudiziali.
Siamo pertanto convinti che, per uscire da questo pericoloso piano inclinato, bisogna riportare quanto più possibile l'attuazione dell'equo compenso entro la lettera e lo spirito di quanto già prevede la legge 233, varata espressamente per dare applicazione all'articolo 36 della Costituzione anche ai giornalisti lavoratori autonomi, senza distinzione alcuna.
Riteniamo quindi che i parametri-guida debbano essere: a quanti si applicherà la legge e quanti ne resterebbero eventualmente esclusi? L'equo compenso sarà nel rispetto della lettera dell'art. 36 della Costituzione e “in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria” in favore dei giornalisti dipendenti, come prescrive l'art. 2 della legge?
Ora il testimone delle trattative è passato al rappresentante degli editori e a quello della Fnsi, per tentare di trovare un accordo, che sarà sottoposto al voto della Commissione il 28 febbraio.
Al rappresentante della Fnsi chiediamo quindi di fare tutto il possibile per riportare l'attuazione dell'equo compenso nell'alveo, nella lettera e nello spirito della legge 233.
E chiediamo agli altri dirigenti di categoria in Commissione, ai rappresentanti delle Assostampa e dei lavoratori autonomi, di sostenere in tutti i modi tale impegno e obiettivo, anche dando vita a una mobilitazione attorno alla Commissione e ai suoi lavori, sensibilizzando l'opinione pubblica, le forze politiche, il Governo, a sostenere questa battaglia.
Che non è quella di garantire dei privilegi a qualcuno. Ma di garantire a tutti gli stessi diritti, così come prevede la Costituzione. Perchè non è più tollerabile che i diritti, anche fra i giornalisti, siano riconosciuti solo a chi ha in tasca un contratto da dipendente a tempo indeterminato.
Anche perché, nei dati ufficiali, oramai il 60% dei giornalisti attivi sono formalmente degli autonomi. Una percentuale raddoppiata negli ultimi 13 anni, e in costante crescita, a fronte di una progressiva contrazione degli organici redazionali e dei giornalisti con contratti da dipendenti.
La linea-guida di ogni politica della professione dev'essere che i giornalisti dipendenti di oggi possono essere gli “autonomi” di domani. Bisogna quindi stabilire con quali diritti e tutele.

I componenti della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo della FNSI :
Antonio Armano (Lombardia)
Maurizio Bekar (Friuli Venezia Giulia)
Susanna Bonfanti (Toscana)
Claudio Chiarani (Trentino Alto Adige)
Dario Fidora (Sicilia)
Francesca Marruco (Umbria)
Saverio Paffumi (Lombardia)
Giovanni Ruotolo (Piemonte)
Laura Viggiano (Campania)

27 dicembre 2013

EQUO COMPENSO: UN PROMEMORIA E ALCUNI CHIARIMENTI

Il commento di Maurizio Bekar* 
(dal sito web di Articolo 21)

Il 9 gennaio verrà riunita la Commissione plurilaterale istituita presso il Dipartimento per l'Informazione del Governo, per votare una delibera d'indirizzo per l'individuazione dell'equo compenso. E in questi giorni di ferie è lasciato il tempo ai membri della Commissione per formulare osservazioni e proposte, prima del voto della delibera.

Avendo lavorato a lungo sul tema, assieme ad altri freelance, mi sento quindi in diritto e in dovere di sottolineare che, fin dal marzo scorso, è stata formalizzata una proposta d'individuazione dell'equo compenso, elaborata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi. Cioè proprio da quei lavoratori autonomi che il problema della precarizzazione del lavoro giornalistico lo vivono quotidianamente sulla propria pelle.
E' una proposta che individua l'equo compenso con i parametri di retribuzione dei giornalisti dipendenti (così come prescrive la legge 233/2012) e, in caso di disaccordo, rimanda alle tabelle dei compensi minimi del 2007 dell'Ordine dei giornalisti, rivalutate dell'inflazione.
E questa è la proposta da tempo formalizzata al tavolo plurilaterale dell'Equo compenso da parte della Fnsi. Dove però non pare godere di facile cittadinanza, osteggiata apertamente dagli editori, ma anche da una serie di resistenze e distinguo ben difficilmente comprensibili. A meno che l'intento non sia quello di affossare l'equo compenso, o ridimensionarlo e renderlo inutile, o di trasformarlo in una discussione infinita senza sbocchi operativi.
Lungi dal pensare di avere in tasca il libro della verità, mi pare utile esplicitare qui gli assunti sui quali quella proposta d'attuazione è nata e si basa. In modo da fugare possibili equivoci. Ma anche “a futura memoria”; perchè pure quella, nella vita, conta.
Di equo compenso, nella Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi, ne abbiamo discusso per quasi due anni, e cioè ben da prima dell'approvazione della legge 233/2012. E ci siamo talvolta anche litigati, fra freelance, non individuando dei parametri convincenti e largamente condivisi.
Ci è infatti alla fine risultato chiaro che stabilire un compenso minimo uguale per tutti era impossibile, perchè altamente soggettivo: ciò che poteva sembrare una conquista epocale per i sottoretribuiti da 3-5-10 euro al pezzo (per esempio ipotizzando 20-30 euro lordi) era tacciato da sottoretribuzione da quelli che, dovendo campare davvero di questo lavoro, già oggi combattono per farsi pagare di più. E c'era il ragionevole rischio che a stabilire “per legge” tale importo fisso, inevitabilmente si sarebbero poi livellate al ribasso le retribuzioni oggi maggiori, con il pretesto che “questo è l'equo compenso stabilito per legge”.
Ipotizzare invece un “equo compenso minimo uguale per tutti”, ma parametrato alle retribuzioni più elevate delle testate nazionali, avrebbe probabilmente tutelato gli autonomi oggi meglio retribuiti, ma sarebbe anche stato oggettivamente impraticabile per le piccole testate locali.
Ma anche prendere come parametri retributivi le “tabelle” a pezzo per i collaboratori ex articoli 2 e 12 del contratto FIEG avrebbe generato problemi analoghi: inapplicabili o troppo elevate per delle micro-collaborazioni locali fatte anche di “brevi”, e viceversa troppo basse per chi del lavoro di freelance ci dovrebbe campare. Ricordiamoci infatti che quelle cifre tabellari sono lorde, ma di collaboratori inquadrati come dipendenti, e quindi con altri costi (contributi etc.) a carico dell'azienda. Inoltre quelle tabelle vengono spesso aggirate al ribasso dagli editori, considerandole non "il minimo di retribuzione contrattuale", ma “la retribuzione omnicomprensiva per tutti i pezzi forniti”, o con solo minimi aggiustamenti.
Come Commissione lavoro autonomo siamo infine giunti, dopo un non semplice processo di discussione, alla conclusione che l'equo compenso potesse essere rapportato solo (e in proporzione) alle retribuzioni dei dipendenti. Che è poi ciò che prescrive la legge 233/2012. In altre parole: se un freelance lavora full time per 1 mese per una testata, questi deve percepire NON MENO di quanto lì guadagna un dipendente. Anzi: di più, perchè il freelance si assume in proprio vari costi che per il dipendente vengono coperti dall'editore (contributi, malattia, ferie, tfr, tredicesima, rischi, etc.). E se vi lavora per soli 15 giorni al mese, ne deve percepire la metà, e così via.
E, secondo la proposta della Commissione Lavoro autonomo, se si lavora per testate diverse, i compensi devono essere sempre proporzionati alla retribuzione del dipendente, a seconda dei rispettivi contratti collettivi applicati (FIEG, USPI, Aeranti-Corallo) e del tempo di lavoro impiegato (1 giorno, 7 giorni, 1 mese...).
Così che, se si lavora tutto l'anno per più testate diverse, alla fine si possa percepire complessivamente la stessa retribuzione (lorda) di un dipendente.
L'applicazione della proposta è poi semplice: per ogni incarico va concordato il tempo di lavoro necessario per il suo adempimentoe quello dev'essere pagato in proporzione alla retribuzione del dipendente. Mentre in caso di disaccordo si fa riferimento al tariffario dell'Ordine dei giornalisti del 2007, rivalutato dell'inflazione (tariffario che, non a caso, anche oggi può essere preso da un giudice come riferimento di congruità retributiva in una causa di lavoro).
In questo modo non si deve impazzire nei conteggi di quante brevi, foto, articoli e rigaggi sono stati prodotti per individuare l'equo compenso: si patteggia solo un tempo di lavoro ritenuto necessario per l'incarico, e quello viene pagato in proporzione alla paga (lorda) del dipendente. Fatta salva la facoltà di patteggiare anche importi più elevati. E il tariffario dell'Ordine del 2007 viene richiamato solo in caso di disaccordo, o per decisione consensuale delle parti (freelance e datore).
Il punto forte di questa proposta non sta però solo nella facilitazione dei conteggi, e nella piena aderenza al dettato della legge 233/2012, ma anche nel fatto che soddisfa una condizione posta fin dall'inizio dal Sottosegretario all'Editoria: che non si poteva varare un tariffario dell'equo compenso. Perchè questo sarebbe risultato in contrasto con il decreto sulle liberalizzazioni delle professioni e con le norme europee. E quindi si potevano solo individuare dei “parametri di riferimento”, da cui poter poi derivare il calcolo l'equo compenso.
Bene: la proposta d'individuazione dell'equo compenso formulata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi soddisfa appieno tutte queste condizioni.
Viene quindi da chiedersi perchè per mesi non sia mai stata seriamente discussa nel merito in Commissione Equo Compenso. Viene da chiedersi perchè si siano volute percorrere altre strade. Viene da chiedersi perchè i lavori della Commissione sono da tempo visibilmente impantanati. Vengono da chiedersi molte cose.
Ma queste potranno essere argomento di altre riflessioni, a tempo debito. Per ora limitiamoci a chiarire a tutti ciò che prevede la proposta d'individuazione dell'equo compenso formulata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi. E che ciascuno si faccia la sua idea.
Poi vediamo che accadrà, e ne riparleremo alla prossima puntata...

* Maurizio Bekar
membro della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi
vicesegretario dell'Assostampa Friuli Venezia Giulia